di Barbara Rose
E ora veniva riconosciuta la presenza della Morte Rossa. Era arrivata come un ladro nella notte. E a uno a uno i festaioli cadevano negli inferi bagnati di sangue della loro stessa festa e morivano nella posizione disperata in cui erano caduti. E la vita del viso d’ebano è uscita con quella del festaiolo. E le fiamme dei tripodi si spensero. E il Buio e la Decadenza e la Morte Rossa presero un dominio illimitato su tutto.
Edgar Allan Poe, La maschera della Morte Rossa
Ferdinando Ambrosino incominciò come pittore di paesaggi per poi diventare un pittore di icone. Come e perché ha avuto luogo una trasformazione così radicale che suggerisce qualcosa di più di una normale evoluzione stilistica? Un così drammatico cambio di soggetto, contenuto e forma suggerisce un avvenimento di grande importanza, un risveglio psicologico causato almeno da un’epifania spirituale o da un trauma emotivo. Nel caso di Ambrosino, la decisione di abbandonare uno stile piacevole di lieti paesaggi astratti basato su un precedente impressionista sembra scaturire dall’improvvisa visione del significato degli avvenimenti catastrofici del nostro secolo.
Già nei primi anni del XX secolo, il filosofo spagnolo Miguel de Unamuno definì profeticamente la coscienza storica moderna come “el sentimiento tragico de la vida”. Il senso tragico della vita è comune a coloro che pensano e sentono profondamente in qualsiasi momento, ma gli avvenimenti della nostra epoca hanno portato il nostro livello di coscienza a una nuova e dolorosa consapevolezza che alla fine è diventata il contenuto dei dipinti di Ambrosino. In questo contesto, è significativo che Ambrosino sia nato alla vigilia della seconda guerra mondiale a Bacoli, fuori Napoli, e che abbia studiato da geologo. Le sue conoscenze della geologia lo hanno sicuramente reso sensibile all’idea della metafora di strati di esperienza, strati di storia sepolta, da scavare per comprenderne il significato.
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