Magia di Iconee Mediterranee

Antologica 1960 – 2014
al Palazzo Delle Arti Napoli
24 Aprile –  24 Maggio 2015

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Il 24 Aprile si è tenuta l’inaugurazione di Magia di Iconee Mediterranee, esposizione al PAN di Napoli che comprende 60 opere.  Sono intervenuti il giornalista Ermanno Corsi, il critico d’arte Nino D’Antonio e il filosofo Aniello Montano.

Sono 10 anni che l’artista Bacolese non esponeva a Napoli, l’ultima fu nel 2004 al Palazzo Reale.  Dai Campi Flegrei è partito per girare il mondo, in America prima a New York e poi a San Francisco, è stato letteralmente catturato da collezionisti e galleristi che hanno voluto esporre e vendere i suoi lavori.  A Napoli in mostra, fino al 24 Maggio, opere dal 1960 al 2014.

Si parte dagli anni ’60 quando la sua arte risentiva del calore, dei profumi e dei colori dei paesaggi flegrei, i rossi, il tufo, il giallo sulfureo. L’iniziale impronta figurativa, il cui naturalismo riconoscibile nelle vedute di Procida e della Corricella, cede lentamente il passo a forme sempre più smaterializzate, in cui i contorni cominciano a sfumare.

La svolta avviene negli anni Novanta, i volumi di influenza cubista si dissolvono approdano all’informale. L’arte si fa introspettiva, riflessione sulla realtà, una realtà immaginata che prende vita nelle Icone: qui la frantumazione lotta per ricomporsi in figura, in immagini che sfumano o si dileguano nella preziosità del colore, il rosso diventa porpora, il giallo oro rievocando la sacralità delle immagini bizantine.

La cifra identitaria connotante il lungo percorso pittorico di Ferdinando Ambrosino va cercata e individuata nei timbri cromatici, nella scelta dei colori e nel modo di trattarli. Dalla prima all’ultima, la prima del 1960 l’ultima del 2014, tutte le opere esposte in questa mostra esibiscono l’uso sapiente di una tavolozza dai colori caldi, morbidi e temperati, lontana dai toni alti e squillanti e lontanissima dai sussurrati bassissimi, tenuissimi, tendenti al patetico

così in un passo scrive nella sua critica Aniello Montano.

 

 

 

COMUNE DI NAPOLI
ASSESSORATO ALLA CULTURA E TURISMO
Gaetano Daniele

DIREZIONE CENTRALE
CULTURA, SPORT E TURISMO
Massimo Pacifico

SERVIZIO PROGRAMMAZIONE CULTURALE
E SPAZI PER LA CULTURA
Fabio Piero Fracasso

PAN | PALAZZO DELLE ARTI NAPOLI
Giusy Cesarelli

AREA AMMINISTRATIVA
Serafina Botta
Francesco Liscio
Carmine Senese
Antonella Torino

UFFICIO STAMPA
Violetta Luongo

MOSTRA A CURA DI
Ermanno Corsi, Nino D’Antonio, Aniello Montano

ORGANIZZAZIONE
Filomena Di Meo
Bell’Arte
Associazione per la promozione
dell’arte e della cultura
di Angelo Criscuoli

DOCUMENTAZIONE, COMUNICAZIONE E MOSTRE
Maria Teresa Rossi
Alberto Ruggiero
Raffaele Tartaglia
Laura Vassallo
Caterina Zappalà

AREA TECNICA
Carla Colarusso

Servizi Museali
NAPOLISERVIZI

 

L’Energia in Stelle

di Fernando Arrabal
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Quello che Ferdinando Ambrosino
crea non si piega
alla provvidenza della natura.
E, tuttavia, egli si lascia portare
dal soffio dell’universo.
Immagina soltanto l’incomparabile.

S’interroga: che sa l’effimero,
che vive solo un mattino,
di ciò che sono la sera e la notte?
Che cosa sa, dell’arte, chi ama solo l’abitudine?

Il destino indica con il dito
Ferdinando Ambrosino
inebriato dal va e vieni
delle domande senza risposta.
Assorto in se stesso,
ammanta di stupori la sua innocenza.

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L’Icona come Iconografia

di Barbara Rose

E ora veniva riconosciuta la presenza della Morte Rossa. Era arrivata come un ladro nella notte. E a uno a uno i festaioli cadevano negli inferi bagnati di sangue della loro stessa festa e morivano nella posizione disperata in cui erano caduti. E la vita del viso d’ebano è uscita con quella del festaiolo. E le fiamme dei tripodi si spensero. E il Buio e la Decadenza e la Morte Rossa presero un dominio illimitato su tutto.

Edgar Allan Poe, La maschera della Morte Rossa

 

9Ferdinando Ambrosino incominciò come pittore di paesaggi per poi diventare un pittore di icone. Come e perché ha avuto luogo una trasformazione così radicale che suggerisce qualcosa di più di una normale evoluzione stilistica? Un così drammatico cambio di soggetto, contenuto e forma suggerisce un avvenimento di grande importanza, un risveglio psicologico causato almeno da un’epifania spirituale o da un trauma emotivo. Nel caso di Ambrosino, la decisione di abbandonare uno stile piacevole di lieti paesaggi astratti basato su un precedente impressionista sembra scaturire dall’improvvisa visione del significato degli avvenimenti catastrofici del nostro secolo.

Già nei primi anni del XX secolo, il filosofo spagnolo Miguel de Unamuno definì profeticamente la coscienza storica moderna come “el sentimiento tragico de la vida”. Il senso tragico della vita è comune a coloro che pensano e sentono profondamente in qualsiasi momento, ma gli avvenimenti della nostra epoca hanno portato il nostro livello di coscienza a una nuova e dolorosa consapevolezza che alla fine è diventata il contenuto dei dipinti di Ambrosino. In questo contesto, è significativo che Ambrosino sia nato alla vigilia della seconda guerra mondiale a Bacoli, fuori Napoli, e che abbia studiato da geologo. Le sue conoscenze della geologia lo hanno sicuramente reso sensibile all’idea della metafora di strati di esperienza, strati di storia sepolta, da scavare per comprenderne il significato.

 

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L’Icona come Iconografia

di Barbara Rose

E ora veniva riconosciuta la presenza della Morte Rossa. Era arrivata come un ladro nella notte. E a uno a uno i festaioli cadevano negli inferi bagnati di sangue della loro stessa festa e morivano nella posizione disperata in cui erano caduti. E la vita del viso d’ebano è uscita con quella del festaiolo. E le fiamme dei tripodi si spensero. E il Buio e la Decadenza e la Morte Rossa presero un dominio illimitato su tutto.

Edgar Allan Poe, La maschera della Morte Rossa

 

9Ferdinando Ambrosino incominciò come pittore di paesaggi per poi diventare un pittore di icone. Come e perché ha avuto luogo una trasformazione così radicale che suggerisce qualcosa di più di una normale evoluzione stilistica? Un così drammatico cambio di soggetto, contenuto e forma suggerisce un avvenimento di grande importanza, un risveglio psicologico causato almeno da un’epifania spirituale o da un trauma emotivo. Nel caso di Ambrosino, la decisione di abbandonare uno stile piacevole di lieti paesaggi astratti basato su un precedente impressionista sembra scaturire dall’improvvisa visione del significato degli avvenimenti catastrofici del nostro secolo.

Già nei primi anni del XX secolo, il filosofo spagnolo Miguel de Unamuno definì profeticamente la coscienza storica moderna come “el sentimiento tragico de la vida”. Il senso tragico della vita è comune a coloro che pensano e sentono profondamente in qualsiasi momento, ma gli avvenimenti della nostra epoca hanno portato il nostro livello di coscienza a una nuova e dolorosa consapevolezza che alla fine è diventata il contenuto dei dipinti di Ambrosino. In questo contesto, è significativo che Ambrosino sia nato alla vigilia della seconda guerra mondiale a Bacoli, fuori Napoli, e che abbia studiato da geologo. Le sue conoscenze della geologia lo hanno sicuramente reso sensibile all’idea della metafora di strati di esperienza, strati di storia sepolta, da scavare per comprenderne il significato.

Inoltre, per quanto concerne le immagini che l’artista ha sviluppato per esprimere il proprio senso della storia, è importante anche che egli sia nato all’ombra dell’importante sito archeologico di Cuma. Nell’antichità, l’area vicino a Bacoli, che oggi è un parco archeologico, era nota e temuta come la casa di quella terribile profetessa che era la Sibilla di Cuma.

Secondo Virgilio, l’ingresso dei cancelli dell’inferno si trovava nei pressi della grotta dove Enea consultò la Sibilla. Nel VI libro dell’Eneide, la Sibilla appare al fondatore di Roma. In seguito, il re Tarquinio acquisì i libri della Sibilla, che furono così consacrati allo stato romano. All’ombra delle grotte di Cuma, dove i greci consultavano l’oracolo divino che era il mezzo di trasmissione dei messaggi degli dèi, la misteriosa e terrificante Sibilla inalava gas allucinogeno e, in trance, rispondeva alle domande che venivano poi interpretate dai sacerdoti. Le caverne sotterranee sono vicine al lago d’Averno, dove l’acqua si accumulava nei pressi del cratere vulcanico.

11In un luogo così ricco di memoria storica come i dintorni di Cuma si celano perfettamente le ombre scure e i fantasmi della storia. Originariamente Cuma era un villaggio nei Campi Flegrei, adesso è un parco archeologico dove i fantasmi del passato e i frammenti della storia interagiscono con la natura. Cuma fu fondata dai coloni greci di Calcedonia che credevano che l’alato Dedalo fosse atterrato qui e vi avesse costruito un tempio in onore di Apollo. I cristiani trasformarono il tempio di Apollo in una basilica dove si venerava Gesù Cristo. Nell’antichità, la collina di Cuma, adesso attraversata da numerosi passaggi sotterranei, fu scavata dagli architetti militari dell’imperatore Augusto. Egli collegò Cuma al Porto Giulio del lago d’Averno per mezzo di una galleria. In seguito i bizantini di Narsete conquistarono la zona che fu poi occupata dai goti calati dal nord che vi costruirono un castello per difendere la loro conquista. Pertanto, gli strati storici di un posto come questo diventano parte di una memoria collettiva di conquiste sanguinose e di resurrezioni.

Le labirintiche caverne di Cuma sono buie e ombrose e devono sicuramente simboleggiare le icone suddivise in settori che Ambrosino incominciò a dipingere agli inizi degli anni novanta. Ambientate negli ombrosi recessi delle icone di Ambrosino che rimandano agli oscuri segreti di Cuma, le figure si contorcono e si distorcono, i volti appaiono e scompaiono nelle buie nebbie, come figure oniriche. Il drappeggio stilizzato che avvolge le figure ha un’ambiguità confusa anche negli ombrosi recessi della memoria, dove i pensieri si battono per diventare consci, per rimanere formati soltanto a metà e dissolversi poi nel buio dell’inconscio. Le allusioni, tuttavia, non sono a specifiche memorie autobiografiche, piuttosto, sono accenni di memoria collettiva. Le immagini poste nei settori, simili a celle, raccontano ognuna una storia diversa ma simile. Alludono a storie di conflitti, lotte e martirio che si svolgono nella segretezza delle nicchie decadenti che ci ricordano le caverne sotterranee del Satyricon felliniano, in cui la decadenza degli ultimi giorni dell’impero romano è subliminalmente sostituita dalla decadenza della dolce vita del dopoguerra che ha avuto la sua massima espressione nella turpe depravazione dei crimini di corruzione dei decenni successivi, caratterizzati dai terribili scandali di tangentopoli e da un modus vivendi orgiastico. Non l’ambito privato del trauma specifico bensì le tribolazioni collettive della razza vengono commemorate nell’ombra delle grotte di Cuma, dove la Sibilla profetizzava eventi nefasti.

25Nei dipinti di Ambrosino, quest’idea di un collegamento, quasi una porta o un ingresso su un mondo sotterraneo, diventa una metafora per accedere all’inconscio e al mondo dei sogni.

Nota come la destinazione più antica e più importante dei navigatori egei, Cuma fu scoperta nell’VIII secolo a.C. dai calcedonesi provenienti dall’isola di Eubea. Qui essi fondarono l’avamposto più avanzato delle colonie greche nel mar Tirreno la-sciandovi il loro alfabeto e altre scoperte. Pertanto Cuma, sin dall’inizio, fu associata all’impero e alla sua caduta. La storia dell’ascesa e della caduta delle civiltà successive raccontata da storici come Giordano Bruno, Gibbons e Toynbee include le trasformazioni subite da Cuma che, di volta in volta, fu usata come cava di pietra, come rifugio di pirati e come deposito. I suoi labirintici settori simili a celle furono sin dall’inizio associati ai miti fondamentali della creatività dell’uomo, alla sua audacia e alla sua arroganza. Sappiamo, per esempio, che il tempio dorato di Cuma fu decorato con l’immagine di Dedalo afflitto per la caduta del figlio Icaro.

Le prime opere di Ambrosino si fecero notare per l’interesse verso le grandi dimensioni e i temi grandiosi. Agli inizi degli anni sessanta, egli dipinse grandi tele neorealiste basate sui temi della lotta del proletariato. Nel 1965, una visita alla grotta della Sibilla di Cuma segnò il punto di svolta. Sebbene non lo dica apertamente, sembra che qui egli abbia avuto una visione che incominciò lentamente a prendere forma nella sua pittura. Sicuramente sapeva che parte della storia di Cuma riguarda l’origine della stessa creatività umana poiché si ritiene che questo sia il luogo in cui Dedalo costruì le ali che gli permisero di ascendere al cielo ma che nelle mani di suo figlio Icaro divennero il simbolo dell’arroganza. La scoperta della sua vocazione di artista non è diversa da quella di Stephen Daedalus, l’eroe del Portrait of an artist di James Joyce che si dedicò alla tradizione della scrittura, rivolgendosi al suo antenato con “vecchio padre, vecchio artefice, mi sarai molto utile ora e sempre”.

Quando Ambrosino tenne la sua prima personale, nel 1967, le figure muscolose del primo periodo avevano lasciato il posto a paesaggi lirici che diventavano sempre più astratti. Verso la metà degli anni settanta, il suo lavoro mostrava una matura raffinatezza e un gruppo di cinquanta opere fu inviato in tournée in Grecia, Turchia, Romania e Unione Sovietica.

35Questi dipinti colorati e espressivi, pieni di luce e movimento, ebbero un notevole successo.

Nel 1977, l’artista eseguì un gruppo di sculture di terracotta che riportarono la sua attenzione alla figura umana. Essenzialmente, però, egli rimaneva un pittore di paesaggi. Verso la fine degli anni ottanta, tuttavia, i paesaggi divennero più bui e turbolenti. Nonostante il loro debito verso il cubismo e l’espressionismo astratto, questi lavori erano ancora chiaramente legati alla natura.

Nel 1990, nelle opere di Ambrosino riappare la figura umana, ma questa volta la forma è chiaramente in conflitto con il contesto e sembra lottare per una certa liberazione da. ciò che sembra essere la limitazione del piano dell’immagine e del rettangolo. Invece dell’immobilità dell’icona, abbiamo un movimento di torsione, un’apparente contraddizione del formato iconico e la sua consacrazione alla stasi e alla simmetria. La simmetria diventa asimmetria, le convenzioni orientali e occidentali sono ibridate. Le figure inquiete e turbate suggeriscono la disperazione degli schiavi legati di Michelangelo che lottano per sfuggire ai loro legami, per liberarsi del blocco di pietra che li relega alla terra e alla mortalità.

Come gli schiavi di Michelangelo, le figure di Ambrosino suggeriscono l’energia umana di espansione e la ricerca di libertà, di una libertà elusiva, il cui desiderio è esso stesso hybris.

La lotta per la liberazione è un tema valido e significativo per un artista moderno. Tra i temi principali dell’artista moderno vi è quello della libertà, sopra tutto della libertà dalle costrizioni e dalle esigenze del contesto culturale dominante, i cui valori sono percepiti come falsi e infimi. Tuttavia, dobbiamo chiederci se per un artista è possibile decidere di essere libero dalle limitazioni del proprio contesto culturale per inseguire i valori di un momento storico diverso verso cui egli sente una maggiore affinità. In La forma dei tempo, George Kubler formulò la teoria secondo cui la personalità, il carattere e lo stile di un artista non devono necessariamente corrispondere al momento storico del suo debutto sul palcoscenico della storia dell’arte mondiale. In altre parole, Michelangelo, Raffaello o Leonardo, se fossero nati oggi, avrebbero potuto anche non essere affatto artisti perché la natura del loro genio individuale potrebbe non corrispondere alle possibilità riservate agli artisti visivi di oggi.

46Il grande storico dell’arte francese Henri Focillon vedeva la storia dell’arte organizzata non in modo cronologico ma in “famiglie della mente”. Pertanto, un artista che opera alla fine del XX secolo potrebbe avere una sensibilità più vicina a quella di un anonimo artigiano medievale piuttosto che a quella del moderno artista egomaniacale simboleggiato dal culto della personalità di Picasso.

Possiamo ipotizzare che, forse, una delle ragioni per cui Ambrosino è attratto dall’arte del pittore di icone è la relativa anonimità di questi grandi artigiani che non servivano il proprio ego individuale ma una tradizione millenaria. La vera antichità della tradizione della pittura di icone nonché il suo senso di variazione entro un tema convenzionale potrebbe attrarre un artista ribellatosi all’eccesso modernista. Richiamandosi intenzionalmente a una tradizione legata all’anonimato, all’artigianato e alla fede, Ambrosino evoca lo stato d’animo del pittore di icone, interamente impegnato nella sua rappresentazione di santità come un surrogato della figura da venerare. Eppure, lo stile scelto dall’artista è lo stile pittorico espressionista della pittura occidentale del dopoguerra opposto al duro stile lineare del pittore di icone.

Le icone di Ambrosino propongono che il contenuto di un periodo possa essere portato dallo stile di un altro (abbiamo un esempio di tale trasmigrazione nella sopravvivenza delle forme pagane nel periodo cristiano). Comunque, le forme di un periodo storico, quando approssimate nello stile di un altro, hanno un significato diverso in relazione al contenuto. Questo contrasto potenziale tra stile e convenzione dell’immagine suggerisce un concetto di stile contemporaneo non come assoluto ma come relativo e mutevole, un’altra scelta da fare nel nome della libertà in contrasto con la convenzione di essere accettato senza questioni.

Nel suo saggio sulla relazione tra stile e contesto storico, Meyer Schapiro suggerì che “il contenuto di un’opera d’arte spesso appartiene a una sfera dell’esperienza diversa da quella in cui sia lo stile del periodo sia il modo di pensare dominante sono stati formati; un esempio è l’arte secolare di un periodo in cui idee e rituali religiosi sono preponderanti e, al contrario, l’arte religiosa di una cultura secolarizzata”. Sembra che Ambrosino sia venuto per la prima volta a contatto con la tradizione della pittura di icone in Russia nel 1974, quando i suoi dipinti fecero il giro dell’Europa dell’est e dell’Unione Sovietica. Quest’esperienza lo introdusse alla tradizione bizantina così come questa era praticata in oriente, sebbene avesse già conosciuto la ricchezza dei mosaici di Ravenna, di Roma e della Sicilia. Sicuramente non è una coincidenza il fatto che egli si sia interessato alle icone russe, a queste sante reliquie di fede prodotte in isolamento monastico in un’epoca in cui l’ideale dell’utopia marxista stava incominciando a incrinarsi sotto la pressione della realtà. Nella tradizione bizantina che ispirò la pittura di icone russe, Ambrosino trovò un parallelo con certe tradizioni alchimistiche dell’arte italiana basate sul concetto di trasformazione del materiale in spirituale.

61Inoltre, il richiamo di Bisanzio era anche una risposta alla falsa avanguardia che in nome del progresso commetteva crimini estetici e chiedeva di brutalizzare la cultura del passato. Piuttosto che perseguire il progresso, la pittura bizantina preservava le forme dell’antichità durante le epoche degli attacchi dei barbari alla civiltà. Originariamente, l’impero romano d’oriente si estendeva fino a Costantinopoli, all’Europa dell’est e all’Asia minore, e, a ovest, fino alle isole britanniche. La vastità dell’impero consentì una fusione delle culture che progredirono attraverso forme di ibridazione che si innestavano da una civiltà all’altra. Per esempio, in Sicilia i protettori normanni portarono da Costantinopoli gli artigiani greci per produrre opere di grande bellezza e qualità mescolando molte tradizioni.

Il problema di mantenere in vita una cultura morente durante i periodi di decadenza e declino è complesso. Dopo che l’impero cristiano si dissolse nell’islam, il termine pittura bizantina venne usato anche quando non c’erano più né l’impero bizantino né i bizantini. Nei mosaici le forme della pittura antica vennero tenute in vita in un altro mezzo. L’arte bizantina conservò le forme dell’antichità, ma le alterò per adattarle alla nuova iconografia sviluppata per una nuova religione. In seguito, i complessi ornati, ricchi, dorati, vennero rimossi dalle pareti per diventare icone portatili. Queste icone sono rigide e dure, con superfici simili a smalti e con gioielli incastonati per enfatizzarne la preziosità e la rarità.

Usando le icone russe come punto di partenza, Ambrosino trova ispirazione nella contraddizione: mentre conserva la struttura a settori dell’icona statica, la riempie di movimento. Le sue figure si contorcono, ruotano e si dimenano come avvolte in una danza di dervisci. Talvolta, i settori adiacenti ricordano un filmino, come se le figure danzanti e agitate fossero state girate e animate. Questa associazione chiaramente contemporanea con le immagini cinematografiche — decisamente l’opposto dello stato congelato dell’iconostasi immobile — presenta due opposte tradizioni di rappresentazione, quella dell’icona e quella del film.

La rappresentazione figurativa di Ambrosino, con i suoi echi di evanescenza futurista nonché di biomorfismo surrealista, suggerisce ancora una volta quell’ibridazione tipica di un approccio alla narrativa postmodernista astorico e asincrono. Gli imperatori bizantini commissionavano in Grecia chiese e mosaici simili a quelli di Ravenna, sulla riva opposta dell’Adriatico. Solo in Italia vi sono numerosi monumenti in buone condizioni. In Egitto, le icone venivano dipinte a encausto sul legno. I dipinti a encausto rinvenuti sul monte Sinai, noti come “tesoro del Sinai. vennero portati al Museo di Kiev, in Russia, dove ispirarono i pittori di icone russi. La differenza tra la preziosità ornamentale e decorativa dell’arte bizantina e l’arte latina si acuì quando la pittura dell’Europa occidentale divenne progressiva e più fondata scientificamente. Mentre l’arte bizantina si atteneva saldamente ai formati convenzionali e alle tecniche tradizionali, gli scrittori delle provincie dipendevano dal prototipo più di quelli dell’occidente.

4In opposizione a una progressiva fede nello sviluppo tecnologico, la cultura bizantina e il suo bagaglio di immagini enfatizzarono la struttura centripeta dello stato monarchico e la tradizione passata.

Quando la conquista dell’Asia spazzò via l’arte alla periferia dell’islam, i temi e i motivi della tradizione rimasero forti in Georgia e in Armenia. Queste tradizioni divennero quindi i prototipi dell’icona russa. I settori architettonici delle pale di altare, che in realtà erano le “case” delle reliquie dei santi, erano tipici dell’arte sia rustica sia sofisticata.

La divisione tra arti maggiori e minori che separava l’architettura, la scultura e la pittura dalle arti decorative e ornamentali non esisteva nella cultura bizantina. Le lucenti tesserane dorate dei mosaici riflettevano la luce in un senso letterale che ispira lo splendore dorato delle icone di Ambrosino. Per tradizione, la luce ha avuto un ruolo simbolico nella pittura, in quanto indicava l’illuminazione divina. El Greco si formò in Grecia come pittore di icone. Divenuto un grande pittore di cavalletto, egli conservò alcuni gusti, se non vogliamo definirli convenzioni, dell’arte bizantina, compresa, sopra tutto, la fascinazione dei riflessi di luce.

Il bianco brillante come la schiuma fosforescente del Tintoretto ispira gli ultimi dipinti di El Greco dopo il suo trasferimento in Spagna. Il pittore greco che va a Venezia per apprendere l’arte dell’occidente… e che si ritira nella provinciale Spagna. La luce vibrante non è la luce elettrica della città ma il cupo bagliore della luce di candela nel buio. Veniamo rimandati agli angeli, agli arcangeli cadenti di El Greco, alle gerarchie richiamate in un’orgia estatica di fuoco e fosforescenza, alla luce lunare scintillante in un buio misterioso e non al giorno assolato.

Nella pittura di Ambrosino vi è un chiaro e consapevole riferimento alla tecnica veneziana del pennello. È come se Magritte fosse veneziano. Anche la mancanza di chiarezza è intenzionale. I preziosi toni gioiello vengono mescolati alla ceralacca e alla fibra di vetro per aumentarne la texture e il dramma di colori. In alcuni dipinti, in effetti in quelli più intensi, in cui l’immagine vulcanica trabocca dai confini di un settore, il dramma è immenso. Le figure si dissolvono in frammenti di fiamme e fumo colorati. Non c’è più una semplice visione bizantina di chiarezza statica, ma una visione veneziana che trasforma la stasi dell’arte bizantina nei lampi di luce momentanei e nei colori che finirono poi per ispirare l’impressionismo. È l’opposto della chiarezza e della fissità bizantina.

27L’estetica dell’arte bizantina si basa non sull’innovazione, ma sulla ricchezza e sulla rarità dei materiali nonché sull’abilità degli artigiani. La tecnica del mosaico, appresa alla perfezione molto presto, fiori tra il X e il XII secolo. C’era grande prestigio nel policromo e nella combinazione contemporanea di più tecniche. Venivano inserite figure di smalto e dettagli ornamentali di oro e di pietre preziose. L’enfasi sui materiali significava che il vetro, il cristallo, il luminoso cabochon e le superfici dorate erano importanti. Nei mosaici, la luce che colpiva le superfici e veniva rifratta dagli angoli, i vetri e i cristalli, diventava viva. L’attenzione ai materiali era fondamentale, come possiamo notare anche nei mosaici veneziani, per esempio in quelli sulla facciata di San Marco che formano un insieme organico nonostante la quantità di decorazione ornamentale.

Nella cultura bizantina, l’arte era di importanza fondamentale. Gli archi di trionfò rappresentano la sovranità della fede del monarca deificato. L’immagine assume il nuovo significato di surrogato del sovrano o del santo. L’effigie del dio è trasformata in icone sante, le più ricche ed elaborate delle quali sono i reliquiari contenenti le sante reliquie. Invece del monumentale complesso templare, l’icona portatile rappresenta la pietà personale piuttosto che una religione di stato. La prima fioritura della pittura di icone terminò con il divieto iconoclasta di riprodurre immagini. Il ritorno alle raffigurazioni religiose dichiarò che le effigi contenevano scintille di energia divina e che il contemplarle costituiva un esercizio spirituale. Prima del periodo bizantino, si usava allineare i ritratti dei santi e dei morti lungo le pareti delle tombe. Nel ritorno alle immagini, le scene narranti la fanciullezza e la passione di Cristo e le vite dei santi assunsero un significato speciale. Queste scene, tuttavia, dovevano essere collocate o posizionate in un contesto universale eterno.

La definizione di eternità della rappresentazione iconica è quindi legata all’uso dei dispositivi di incorniciatura interni e all’elaborazione della cornice come architettura in miniatura. La struttura dell’icona si fonda sull’architettura, ripete intenzionalmente la forma della chiesa o della basilica. La rete architettonica è implicita e fornisce il contenitore per le immagini. In questo senso, l’immagine ospita se stessa. Il punto focale della cornice interna è una misura di autosufficienza, di un contesto autogenerato contrapposto alla decontestualizzazione del modernismo. E così la libertà dell’ade moderna veniva conquistata a caro prezzo: il suo distacco da qualsiasi contesto architettonico che avrebbe potuto legarla alla cultura in cui veniva prodotta, percepita dall’artista come una mistificazione decadente. Le pose frontali, gli occhi fissi e la prospettiva verticale, in cui gli eventi sullo sfondo sono posizionati di fronte a quelli in primo piano, sono caratteristici dello stile ritualizzato sacro. L’esagerazione delle dimensioni delle figure più importanti e l’amore per una disposizione ritmica piuttosto che naturalista sono tutti elementi che appartengono allo stile orientaleggiante della Siria.

24Tipica dell’arte bizantina è la cornice riccamente decorata che esiste in tutte le sue forme, dai manoscritti ai mosaici, agli avori e alle icone. Le piccole figure, gli ornamenti ai margini della pagina e il testo scritto si combinavano a produrre l’effetto di un libro illuminato interamente organico ed erano frammenti in miniatura del mondo pagano. Questa miniaturizzazione di un cosmo è presente nella complessa scenografia a più strati di Ambrosino. Il senso di completezza e di distacco dalle cose terrene è enfatizzato dall’importanza data alla cornice come la “casa” dell’immagine.

A un certo punto del declino dell’impero romano, le lingue classiche non sono più parlate. Vi sono diverse fasi dell’evoluzione linguistica: due tipi di forme coesistono fianco a fianco, forme provenienti dal passato che hanno subito delle modifiche nell’uso corrente, altre forme in stile più puro messe in uso da artisti più sofisticati. I primi ricordi del classicismo dopo la rottura con la tradizione sono rappresentati dal rifiuto iconoclasta della raffigurazione; vi è un ritorno al ritmo bilanciato, grave e nobile, quasi monumentale.

Tuttavia, la figura umana è ridotta a un segno, a un’unità piuttosto che a un corpo. Quelle che erano le dimensioni regolari in relazione a un edificio o a una struttura architettonica sullo sfondo sono adesso definite in modo diverso. Vi è una grande sobrietà e reticenza nel trattare il corpo, interamente coperto e celato, caratteristiche che vengono compensate aggiungendo ricche colorazioni e incrostazioni. Il linguaggio visuale e strutturale che controllava le icone fu imposto dai dignitari dell’impero e dagli abati. Lo stile sontuoso e la raffinatezza dell’élite e del visionario ascetico distinguono l’arte bizantina da quella medievale.

L’interpretazione della figura e del paesaggio — che riprende antichi prototipi secondo regole e forme stabilizzate consacrando e preservando la tradizione che sta scomparendo e che ha preso dalla tradizione classica il suo potere ripudiato — sfrutta elementi classici e non classici. Le componenti essenziali del senso di bellezza bizantino sono state riconosciute soltanto durante gli ultimi cinquant’anni. I giudizi dei medievalisti che hanno riabilitato gli stili antinaturalistici, come per esempio Juragis Baltrusajtis, Meyer Schapiro e André Chastel, hanno dato nuovi spunti per comprendere l’estetica di un’età diversa dalla nostra per vaioli e espressioni. Questa rivalutazione dell’arte bizantina e medievale, che rifiutava l’imposizione universale di un canone esclusivamente classico definito e tramandato dal rinascimento, è strettamente legata alla mentalità del modernismo.

23L’adattamento contemporaneo che Ambrosino fa della struttura dell’icona russa agli scopi di una moderna arte espressionista solleva questioni riguardanti lo stile, l’intenzione e la tecnica che sono pertinenti nel contesto dell’ibridazione e dell’appropriazione postmodernista. Tuttavia, a differenza del postmodernismo che attribuisce più importanza agli strumenti, la pittura di Ambrosino costituisce un caso non per la riproduzione bensì per le qualità tattili sensuali dell’originale pittorico. In questo, egli aderisce con consapevolezza alla tradizione occidentale sancita nel rinascimento e non a stili arcaici precedenti. Inoltre, sebbene vi sia un riferimento agli archetipi collettivi, ogni figura e volto intrecciati sono individualizzati, un’altra caratteristica chiaramente occidentale.

Il disegno è essenziale per un senso pittografico e la capacità di Ambrosino di delineare con un rapido tratto sottile le osservazioni che suggeriscono le figure in movimento ne è un importante esempio. La tipologia delle figure ricorda i disegni di Henry Moore che a loro volta ispirarono Jackson Pollock a creare un tipo di scrittura pittorica che smaterializzava i corpi in simboli pittografici. La scrittura pittorica, ovviamente, è comune alle culture arcaiche preletterarie non ancora in grado di comunicare con la stampa. Il senso del racconto condensato è mantenuto nei settori iconici di Ambrosino che suggeriscono scene di terrore e mistero, correlando la sua visione allo stile orientaleggiante e profumato di Delacroix. Anche la tavolozza ricorda gli intensi contrasti di colore e la violenza drammatica delle figure deliranti e morenti presenti nella Morte di Sardanapalo.

Come Delacroix, anche Ambrosino apprezza l’abbondanza e il rigoglio delle forme curve e sinuose delle superfici pittoriche scintillanti. In questa tendenza orientaleggiante, le sue opere ricordano i toni gioiello e gli sfumati dei dipinti simbolisti dell’erede di Delacroix, Gustave Moreau, che trasferì questo amore per il lusso, la calma e la voluttà tipici della fine del XIX secolo al suo allievo più famoso, Henri Matisse. L’arte bizantina deformava e distorceva lo spazio e la scala realistici della pittura classica in un modo che anticipava l’espressionismo compresso dell’arte moderna. Tra le innovazioni più interessanti della pittura di icone di Ambrosino vi è l’inserimento degli elementi architettonici della cornice che sappiamo presi a prestito dal-la struttura della pittura di icone. Il significato delle relazioni immagine-cornice fu isolato per la prima volta come un importante problema compositivo e concettuale da Meyer Schapiro. Secondo Schapiro: “Sembra che verso la fine del II millennio a.C. (se mai accadde) si sia pensato per la prima volta a una cornice isolante continua posta intorno a un’immagine, una chiusura omogenea come le mura di una città. Quando è saliente e quando racchiude immagini con viste prospettiche, la cornice riporta la superficie dell’immagine in profondità e serve a approfondire la visione. È come il telaio di una finestra attraverso il quale si vede uno spazio dietro la porta”.

16La cornice, nella pittura manoscritta, murale o di cavalletto, è situata tra lo spettatore e l’immagine. Definisce come illusorio lo spazio che circonda e lo descrive non reale e letterale come lo spazio dello spettatore. Con l’invenzione del collage cubista, nello spazio rappresentato dall’artista sono introdotti elementi del mondo reale che inevitabilmente compromettono l’illusione. Questo rifiuto dell’illusionismo da parte del cubismo, tuttavia, è antitetico al mondo drammatico di Ambrosino che crea e definisce il proprio spazio come più vicino a quello del surrealismo che a quello del cubismo o del post-cubismo. Secondo Schapiro: “Gli artisti del nostro tempo conservano sulla carta o sulla tela i tratti più pesanti e i tocchi di colore che sono stati applicati consecutivamente nel processo di pittura. Ammettono almeno gran parte delle forme preparatorie e spesso sperimentali come una parte sempre visibile e integrata dell’immagine, valutate come segni dell’azione dell’autore nel produrre l’opera”.

La presenza di pentimenti è esagerata e enfatizzata nell’approccio a strati di Ambrosino. Gli stessi pentimenti rappresentano l’archeologia della pittura. Ovviamente vi sono altri riferimenti al passato, ma non agli stili del rinascimento o del periodo immediatamente successivo, bensì a una interpretazione unica dell’estetica della tradizione delle icone nelle mani di un pittore greco di provincia che è maturato nell’atmosfera della Venezia del rinascimento. Ambrosino è stato chiaramente inflenzato da El Greco. In effetti, alcune vignette pittografiche sembrano essere prese direttamente dalle composizioni di El Greco come per esempio la Crocifissione, la Deposizione e la fiammeggiante Sepoltura del conte di Orgaz.

Nello stesso tempo, ciò che viene valutato non è la sofisticazione dello stile di El Greco dopo che a Venezia egli ha appreso lo stile grandioso della pittura monumentale, bensì la semplice fede del pittore di icone cretese intensificata dall’esperienza spagnola. La tremula luce di candela tipica dei maggiori dipinti di El Greco, inventata in Italia settentrionale e importata in Spagna, si riflette nei colori incandescenti di Ambrosino. La vivida pittoricità veneziana dello stile di El Greco e la sua tavolozza dai toni preziosi sono riprese anche nelle serie di dipinti di icone che caratterizzano lo stile del pittore napoletano negli anni novanta.

La costruzione spaziale delle icone di Ambrosino suggerisce la sospensione nello spazio, non la terra ferma. Come nello spazio astratto delle icone, non c’è orizzonte. Non possiamo identificare il racconto, ma sicuramente qui siamo testimoni di agonie e passioni il cui soggetto e intensità sono indicati dall’uso libero del colore rosso sangue. Il bagliore dorato, d’altro canto, suggerisce come sempre l’illuminazione divina. Nel descrivere la Resurrezione di Lazzaro nella chiesa di Pantanassa, a Mistra, dipinta nel 1428, David Rice Talbot, il famoso studioso di arte bizantina, scrive: “Qui l’artista usa il colore per esprimere il significato della scena, con una sottigliezza degna di El Greco. In effetti, i costumi verdi e rosso porpora degli operai e lo strano rosso rosaceo del sarcofago sullo sfondo giallo producono un effetto sorprendentemente drammatico. In occidente, soltanto El Greco e, in seguito Gauguin, avrebbero usato il colore proprio in questo modo”.

10L’artificialità del colore di Ambrosino è mitigata dai riferimenti costanti ai toni della terra e della carne. In questo modo la sua tavolozza evita l’effetto esclusivamente decorativo di quello che divenne lo stile di Gauguin nell’astrazione del XX secolo. La decisione consapevole di impossessarsi di caratteristiche dello stile di un’altra civiltà e di un altro periodo è soltanto scimmiottamento postmodernista delle immagini generate in un altro contesto, nient’altro che una forma di critica culturale del presente. Tuttavia, evocare l’estetica rituale e cerimoniale delle icone bizantine, note per la loro purezza e fede, non significa imitarne il vocabolario formale, piuttosto, rappresenta il desiderio di ritornare allo spirito di un’altra epoca, una coscienza naif inconsapevole di cosa può portare il progresso. Di volta in volta, gli artisti occidentali, sopraffatti dalla consapevolezza della decadenza delle loro culture, sono ritornati di proposito alle tradizioni precedenti. Per esempio, quando i preraffaelliti inglesi rifiutarono gli aspetti deumanizzanti dell’industrialismo, essi ritornarono alle convenzioni dei primitivi italiani, ovvero ai pittori del primo rinascimento precedenti a Raffaello. Allo stesso modo, possiamo immaginare Ambrosino che guarda indietro a una tradizione che rappresenta l’opposto della tecnologia, dei media e delle telecomunicazioni. Oggi siamo testimoni dell’agonia della Serbia, dell’arte ortodossa della ex Jugoslavia dove i romani conobbero i riti ortodossi, che ci ricordano la relazione tra Ravenna e la Croazia. In questo contesto, la memoria delle icone prodotte è la memoria di una cultura che sta scomparendo. I settori di Ambrosino rimandano al “teatro della memoria” descritto da Francis Yates. Ma in questo caso le memorie sono terribili visioni degli eventi storici del nostro secolo che suggeriscono scene kafkiane di torture improbabili per crimini inconoscibili.

Il tragico epilogo dell’esperimento russo, il tentativo di realizzare l’ideale, risultò invece un incubo di stragi totalitarie e desolazione, dolore e perdita. La mancanza di perfezione dell’era moderna e la nostra consapevolezza di ciò condannarono il classicismo come uno stile impossibile una volta spentasi la fede utopistica nel socialismo e con essa anche l’aspirazione costruttivista a una purezza ideale. Insieme al nostro senso di coscienza storica, il ricordo di molte tradizioni è crollato: le pelli bovine di Goya e Rembrandt crollano nelle pelli sanguinanti di Bacon. Le icone di Ambrosino rimandano a tutto ciò: il suo crepuscolo color oro e cremisi ricorda il momento esistenzialista fatale nell’arena spagnola di “las ciuco de la tarde”.

34Nel 1993, le immagini figurative di Ambrosino cominciarono ad assumere la forma specifica delle icone. I settori divennero più netti, il loro contenuto si fece ancora più spettrale. Apparizioni spettrali, indistinte e misteriose entravano e uscivano da uno spazio fumoso ed evanescente. Sebbene non identificabili né distinti, suggerivano scene, vignette e racconti come quelli rinvenuti sulle predelle delle pale di altare o dei pannelli dipinti dei cassoni nuziali. Sfidato dall’ambiguità, lo spettatore deve fornire il racconto di guerrieri e santi, di combattimenti a cavallo, di storiche battaglie di cavalieri e crociati.

La possibilità di indicare lo spazio monumentale nel formato dell’icona è intrigante. Il problema della raffigurazione è ovviamente un elemento fondamentale dell’arte moderna quando tenta di liberarsi dalle convenzioni della rappresentazione. Una soluzione al dilemma spaziale è dipingere l’interno della cornice con vignette sceniche. Anche gli scomparti della Cappella Sistina parlano di memorie della struttura. Ma quello che vediamo non sono le scene del Vecchio Testamento, bensì le forme roteanti, gli angeli caduti del Giudizio universale. La pittoricità di uno stile espressionista è aumentata dall’uso di tinte smorzate. Frammenti di anatomia sembrano suggerire lo smembramento: mani e piedi, il dolore torturato del trumeau medievale, gli archi gotici, le fiamme e le glorie, le aureole e la luce notturna usata per la prima volta nell’Italia settentrionale dai precaravaggisti Moretto e Savoldo.

Tutto porta alla conclusione che il soggetto di Ambrosino è il destino dell’uomo. La concezione della storia come un racconto doloroso e ripetitivo contraddice l’iconostasi che rappresenta l’immobilità della staticità e dell’eternità che è al di fuori della coscienza storica. Ambrosino sostituisce l’iconostasi con un senso di mutazione, trasformazione e lotta moderno e in continua trasformazione. Nella nostra epoca ciò deve essere necessariamente vero perché la lotta e la tensione sono l’essenza della dialettica. In questi termini, il compito del pittore è di ritrarre le immagini nel processo di prendere forma mentre resistono alla dissoluzione. Nei recessi ombrosi, le figure evanescenti sembrano velate. Ci ricordano le figure avvolte in lenzuola dei disegni di Henry Moore che Jackson Pollock trasformò in segni stenografici. L’immagine velata di Pollock, come egli la definì, spesso nasconde immagini orrende e terrificanti. E velato ciò che è innominabile e indefinibile.

Le reti liriche del colore celano la verità oscura e mostruosa della distruzione e dell’arroganza dell’uomo che percepiamo anche nelle figure velate e avvolte di Ambrosino. Figu-re umane flagellate a morte si intrecciano e si abbracciano. Seguiamo il pennello e i suoi movimenti: i corpi sono intessuti insieme al pari delle figure in un tappeto orientale o un arazzo ornamentale.

La scelta dell’icona spirituale come struttura piuttosto che quella dell’arazzo ornamentale, che ispira invece Matisse e l’arte decorativa, è significativa. Le icone sono immagini, raffigurazioni e surrogati che si riferiscono a una dimensione che non è né materiale né presente. In questo senso, esse accennano all’astrazione infine raggiunta da Malevié che si riteneva un pittore di icone di una nuova religione. Il loro scopo era di essere venerate. Esse sostituivano il personaggio spirituale assente in forma materiale. Questa funzione iconica è rifiutata dal modernismo che mette in discussione i fondamenti dell’arte figurativa occidentale nella sua ricerca di modi astratti.

26Il creatore di icone è sopra tutto un artigiano, un devoto di un culto, la religione dell’arte. Il riferimento alla tradizione dell’icona russa rappresenta la fede sostituita, per dirla con Arthur Koestler, con “il dio che ha fallito”. Pertanto, il fallimento del comunismo redime il misticismo di Gurdjieff, Berdiajev e dei dervisci. La contraddizione della geometria del costruttivismo consiste nella sua speranza di annientare l’arte in architettura, di assimilarla nell’architettura ideale. I settori non sono la griglia cubista ma le memorie di un’architettura che ha attribuito un significato alle gerarchie.

Il riferimento di Ambrosino alla Russia è intenzionale, perché è in Russia che lo stile bizantino assunse la sua forma imperiale finale. Mosca era considerata la “terza Roma”, e in effetti divenne la capitale di un impero. Il fatto che non fosse un impero spirituale ma totalitario divenne fonte di terribile disillusione e sfinimento per tutti coloro che credevano nella possibilità di un paradiso in terra di uguaglianza e ricchezza. In questo contesto, il concetto di libertà umana assunse un nuovo significato, come testimoniato dagli scritti di filosofi esistenzialisti quali Camus e Sartre, diventando una forma di sfinita rassegnazione.

In queste icone che dipingono il destino dell’uomo, l’umanità intrappolata è vista in una diversificazione di posizioni e gesti, sia comprensibili sia incomprensibili. Il tratto sottile del disegno a pennello spesso suggerisce le ossa, così come il buio rimanda alle ombrose caverne delle Carceri del Piranesi. Il senso di imprigionamento soffocante è quello di Huis clos di Sartre da cui non c’è via d’uscita. Le figure sono impegnate in una danza erotica di morte, la loro scrittura suggerisce da un lato l’impegno erotico e dall’altro fiammeggianti pire funebri e i legami e le catene della schiavitù.

L’appropriamento di Ambrosino della struttura delle icone russe presenta la possibilità di usare le convenzioni stilistiche di un’altra cultura per rifiutare quelle della propria. Pertanto, la struttura iconica diventa un vettore di significato simbolico opposto a un’occasione di iconografia consacrata. La pietà, la sincerità e la purezza degli artigiani credenti che creavano questi oggetti sacri di venerazione contrasta implicitamente con la decadenza, il cinismo e la mondanità del nostro tempo e con i suoi valori materiali.

Nei recessi bui della memoria i pensieri lottano per diventare consci, e finiscono per rimanere formati soltanto a metà e per dissolversi. Non il regno privato del trauma specifico ma quello della stessa razza umana, emergono e vengono visti fino in fondo nei quadri. La tela verniciata è la pelle ma è penetrata da bui archi gotici e da riferimenti archeologici. Le opere sono pregne di ambiguità di vario tipo, compresi palinsesti e pentimenti. Le informazioni fornite e omesse universalizzano il carattere, non lo specificano, eppure noi percepiamo eco di lamenti e crocifissioni. Le esplosioni, simili a lava, che fanno sgorgare la materia oltrepassando i confini iconici, ricordano le eruzioni vulcaniche tipiche della zona intorno a Napoli che identificano il luogo come un importante scrigno geologico per il potere distruttivo della terra e per la potenziale catastrofe ecologica che sentiamo più imminente di giorno in giorno.

Riportate alla memoria, le antiche distruzioni incarnano la profezia. Quindi le icone sono segni, segni di avvertimento. Non parlano di una concezione del mondo fissa e immutata ma di una realtà fluida e fuggente che dobbiamo afferrare per capire.

 

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Barbara-RoseBarbara Rose (nata nel 1938) è una storica e critica d’arte Statunitense.  Ha studiato presso lo Smith College, Barnard College e Columbia University.  E’ stata sposata con l’artista Frank Stella tra il 1961 e il 1969.  Nel 1965 pubblicó ABC Art in cui descrisse le caratteristiche dell’arte minimale.