L’Energia in Stelle

di Fernando Arrabal
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Quello che Ferdinando Ambrosino
crea non si piega
alla provvidenza della natura.
E, tuttavia, egli si lascia portare
dal soffio dell’universo.
Immagina soltanto l’incomparabile.
 
S’interroga: che sa l’effimero,
che vive solo un mattino,
di ciò che sono la sera e la notte?
Che cosa sa, dell’arte, chi ama solo l’abitudine?
 
Il destino indica con il dito
Ferdinando Ambrosino
inebriato dal va e vieni
delle domande senza risposta.
Assorto in se stesso,
ammanta di stupori la sua innocenza.
 
Tutta la sua energia aderisce al midollo
del suo scheletro. Riesce a sfuggire
e a esteriorizzarsi soltanto sotto forma di quadri:
linee, colori, bruciature,
materie inevitabilmente
esatte nel loro acuirsi.
 
La sua respirazione, penetrando nel suo corpo,
nel suo ritmo vitale e nel suo polso,
si adatta e ondeggia
nelle sue vene, dal suo cuore
fino all’estremità
delle sue venti dita.
 
Quando dipinge, riflette il soffio
del neonato. E la respirazione embrionale
di chi pub elevarsi, essere felice, immortale
soltanto con la pittura…
di chi inverte il processo vitale
per giungere alla creazione.
Tuttavia, egli crede di avere fallito in tutto.
Gli sarebbe piaciuto essere un conquistatore,
anche se,
per arrivare a questo, avesse dovuto vendere
il suo corpo
o la sua anima. E un fanatico della pittura.
 
Crede che it suo corpo nasconda scorpioni
velenosi, serpenti perversi, campanelli spia
pronti a denunciare alla sua testa
le colpe del suo ventre.
Può espellerli soltanto dipingendo.
 
S’immagina l’immortalità
come una goccia di pittura che,
dal momento in cui la si tocca,
si coagula, disegnando sulla superficie
mille grinze ripugnanti.
 
Vuole soltanto vedere trionfare la sua figura
per i secoli dei secoli
sui Registri dell’Immortalitá
vuole soltanto essere felice.
 
Il suo corpo lo prostra. Se dipendesse
soltanto da lui, lo abbandonerebbe,
gettandolo su un mucchio di letame.
 
Il portico della sua esperienza e situato
fra le sopracciglia: l’ingresso della sua anima.
 
I suoi pensieri veloci, sorta di avventura in pattini,
corrono di qua, di lá
sulle sue tempie, senza rima ne ragione.
 
Di fronte al quadro,
la sua testa non comunica con la realtà.
Una barriera invalicabile separa
le sue passioni dalla malinconia.
 
Quando prende i pennelli,
alle articolazioni Belle sue mani
e dei suoi piedi,
alla punta delle sue dita e sulla retina dei suoi occhi
si appostano sentinelle in attesa
di messaggi.
 
Tutti i suoi segreti, i suoi più reconditi pensieri,
la sua intimità
sono invasi dalla pittura.
 
Il suo volto si protende verso il quadro come
se il mondo si fosse fermato e lui soltanto si
muovesse.
 
Negli istanti in cui crea, il suo corpo
è irradiato di luce mentre quello degli altri
diffonde tenebra.
 
Talvolta, seduto, solo, nel suo studio
si domanda:
Che bisogno ho di vivere?
Di restare in questo mondo?
Chi mi rimpiangerà?
 
Nell’infanzia, non poteva immaginare
la pace, la calma, la gioia. Oggi, attorno a lui,
le stagioni si succedono
per preparare nelle profondità della natura il contrasto
dei colori… per la sua opera.
 
Milioni di forme colorano, disegnano
e sposano la varietà della natura…
per lui solo.
 
Attorno a lui, la frivolezza.
 
Talvolta, s’immagina piantato
in mezzo alla desolazione, che emette un suono sordo
e invariabile, brilla come un viscere the non si
contrae più
 
Questa desolazione gli serve talvolta,
da modello.
 
Un motore senz’anima. Una disarmonia
senza fine come la dissonanza.
 
Riesce a trasformarla come se il quadro fosse
al centro di un impero irradiante
tutte le sue passioni, le sue future cupidigie e le sue
passate influenze.
 
Quante volte, nel quadrilatero luminoso
della sua tela, trasmette catalessi!
 
Si distingue una nevicata senza
fiocchi, senza terra, senza cielo. Che ignora
il mattino e la notte, ma ha il colore
dell’ispirazione.
 
La sua opera freme di polveri palpitanti.
E una testimonianza luminosa e plastica
della grazia.
 
Aspetta forse che i barbari diano l’assalto
al suo studio e mettano a fuoco
i suoi pennelli?
 
Talvolta, di fronte alla tela bianca,
Ferdinando Ambrosino teme di perdere
le sue radici, di disintegrarsi.
 
In quegli istanti, il visibile nasce
da ciò the non ha forma, e l’invisibile dal panico.
Le minacce sembrano più orribili della loro attuazione.
 
Per scongiurare le sue paure, si lascia
condurre dalla sua spontaneità, dal suo retaggio.
Intraprende il viaggio della creazione verso la grazia.
 
Quante volte vorrebbe murarsi
per rinascere!
Colgo il suo respiro
come se mormorasse al mio fianco.
 
Ferdinando Ambrosino dipinge, occupando
lo spazio con dirittura.
 
Lo spettatore dei suoi quadri dialoga con
lui… non con il solo soccorso della ragione.
 
Medita in un sogno a occhi aperti. Lo coglie
a distanza, senza bisogno di esaminarlo nel dettaglio.
 
Non si accontenta di allineare i suoi
sentimenti. L’ammirazione dello spettatore
è dinamica.
 
È anche un’avventura
una danza
un ritmo particolare
una coreografia.
 
Ferdinando Ambrosino, quando dipinge,
si sente abitato dall’universo. Compone con un tratto.
Serenamente, senza esitazioni
ne ritocchi.
 
Talento, pensiero e composizione
sono intimamente legati.
Accordo tra il suo modello segreto,
il cuore e la mano. Tra la massima e la tela.
 
Dimentica che crea: quando dipinge,
si chiude in se stesso. Rivela la sua intimità.
Vorrebbe gridare: “La natura viene a me!”.
 
Immerso nel suo universo per definire
l’indefinibile, sopprime il rapporto
spazio-tempo.
 
Nello studio di Ferdinando Ambrosino,
i quadri simboleggiano la vita: modello
di sotterraneo pensiero. La pittura irriga
le superfici, facendo crescere la bellezza, placando
la sete di assoluto, traendo con se misteri.
 
Ciascun rivolo di materia è teatro
di una vita microscopica.
 
Ciascun quadro racchiude nel suo perimetro
il segreto di un’eternità esatta.
 
Ciò che si disprezza, il pittore lo onora:
la sua opera s’interpreta come i fatti del destino.
 
Se l’opera di Ferdinando Ambrosino
fosse un’epopea, racconterebbe la vita
delle prime belve
nel paradiso terrestre.
 
Se fosse stata un libro sacro,
avrebbe descritto l’iniziazione dell’uomo
che tramuta il suo sangue in idee.
 
Se fosse stata un manuale di storia,
avrebbe riferito la trasformazione
dell’energia in stelle.
 
Se fosse stata un trattato di filosofia,
avrebbe guidato l’evoluzione dell’intelligenza,
le sue ascese e le sue cadute.
 
Se fosse stata un libro di scienze,
avrebbe analizzato le zone di luce
e i meandri
d’ombra del dono di se.
 
Se fosse stata un romanzo, l’eroina,
per capriccio, sarebbe scesa alla dimora
in cui si diventa ciechi per eccesso di luce.
 
Se fosse stata un poema,
avrebbe attraversato sette ponti, dove la grazia
che la inonda
le avrebbe trasmesso il potere di comunicare.
 
L’opera di Ferdinando Ambrosino emana
dall’universo di cui è il riflesso.
Partecipa direttamente e spontaneamente della sua
essenza.
L’infinito spinge le sue infiorescenze
nella meraviglia…
Ma ciascuna volta che
Ferdinando Ambrosino comincia un quadro,
la pittura torna alla terra vergine.
 
Fuori dal tempo, egli aspira all’eternita.
 
Svolge l’infinito nello sfumato…
e lo trascrive
nella sua opera, e con quale prodigio!
 
L’amatore, l’ammiratore sente nei quadri
il suo desiderio, il suo ardore,
il ritmo del suo cuore,
la purezza dell’esecuzione.
 
La sua pittura eleva il desiderio
dalla terra allo spazio, dalla via al caos.

 

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fernando-arrabalFernando Arrabal Terán (Melilla, 11 agosto 1932) è un drammaturgo, saggista, regista, sceneggiatore, poeta, scrittore e pittore spagnolo.

Considerato uno degli autori più importanti e completi del XX secolo, Arrabal è spesso visto come l’incarnazione dell’arte contemporanea; è infatti l’unico ad aver collaborato con tutte e tre le icone dell’arte contemporanea: André Breton per il Surrealismo; Tristan Tzara per il Dadaismo e Andy Warhol per la Pop art. Le sue opere teatrali sono tra le più rappresentate al mondo. Si tratta di un teatro che porta spesso all’estremo le tematiche del realismo, dell’assurdità dell’esistenza, della patafisica e dell’impegno civile e politico. Continua a leggere su Wikipedia